mercoledì 5 giugno 2019


ANTICA  ROMA -   LE MAGISTRATURE

Quante volte ci siamo chiesti quale fosse il segreto del successo di Roma, tale da assegnarle il ruolo di  Cuput mundi, ossia  Capitale del Mondo?… Del mondo allora conosciuto, dove si rispettarono le sue leggi e si contarono gli anni ab urbe condita, cioè  “dalla fondazione della città”.  La risposta, forse, possiamo trovarla nella disciplina e nel controllo esercitato dalle istituzioni.
Ciò  che, ad esempio, faceva la forza dell’esercito romano  non era tanto l’organico, cioè, la struttura secondo la quale veniva organizzato l’esercito,  ma era la disciplina, ossia,  l’austera educazione,  dal carattere di obbedienza assoluta. 
E la disciplina era davvero molto, molto dura.
Il giovane romano a sedici anni era chiamato alla leva militare obbligatoria e ci restava per dieci anni, dopo di che, poteva continuare a restare nell’esercito oppure intraprendere la carriera politica, che era sottoposta ad ogni  sorta di controlli.
Il potere era  suddiviso fra diverse sfere di competenze, preposte ai compiti più disparati, ma Si trattava  sempre di cariche  temporanee ed elettive e mai di  professione, come avverrà invece  in epoca imperiale.i

Le magistrature, ossia, le cariche pubbliche, a carattere elettivo e di durata limitata nel tempo, andarono definendosi soprattutto nel periodo repubblicano,  permettendo ai rampolli di famiglie  patrizie e senatoriali, di accedere al mondo politico. 
La successione delle cariche pubbliche o magistratus, ( termine che  indicava tanto  il Magistrato quanto la Magistratura) costituiva  il cursus honorum.
Molte le restrizioni per accedere alla Magistratura Potevano diventare Magistrati solo i cittadini di sesso maschile, gli uomini liberi e con cittadinanza romana; erano esclusi, quindi, i liberti, ossia gli schiavi affrancati e gli stranieri residenti a Roma…

Le candidature venivano esaminate da Magistrati con imperium, (autorità superiori con massimo potere), nei  Comizi Centuriati, in Campo Marzio. Non era la loro unica mansione, naturalmente, a questi Magistrati  spettava anche  il compito di eleggere gli altri Magistrati, di approvare i progetti  Leggi,  di giudicare in  particolari processi, ecc…

Il primo gradino del cursus era quello della  Questura. I  Quaestores  erano Magistrati con competenze soprattutto di natura  finanziaria. La carica durava un anno, nel corso del quale  amministravano  il tesoro  dello Stato, l’aerarium e il tesoro militare, spolia bellica. ecc… Inizialmente erano in due: quaestores aerarii, cui si aggiunsero due quaestores militares ed in seguito ancora due quaestores classici, addetti alla flotta; alla base c’erano venti uomini, una sorta di assistenti di Magistrati, divisi in quattro Collegi, il più antico dei quali era quello dei Tresviri capitales, incaricato di occuparsi della Giustizia, comprese indagini in casi delittuosi.  
Il proseguimento  della carriera era condizionato dalla benevolenza del giudizio espresso sul lavoro svolto: se soddisfacente, il giovane poteva candidarsi per un avanzamento di  carriera, in caso contrario veniva bocciato e non poteva candidarsi per almeno dieci anni
Magistrati di ordine minore erano i  Tribuni plebis, Tribuni della plebe, istituiti nel 494 a.C. a seguito della secessione della plebe,  con funzione di garanti e difensori dei loro diritti  e  con  la facoltà di porre il veto a quegli atti presentati da Magistrati,  che potevano risultare sfavorevoli alla plebe.
L’avanzamento di grado  poteva contemplava la nomina ad Edile, sempre per un anno e con il compito di sovrintendere ai beni culturali della città ed a tutti gli edifici pubblici e di interesse pubblico. All’origine erano due, gli aediles plebis ed erano strettamente legati ai Tribuni della plebe. A questi Magistrati minori  era affidata  anche la cura delle strade e  degli acquedotti,  l’approvvigionamento della città e perfino l’allestimento dei  giochi pubblici.  Anche questi furono raddoppiati, nel 367 a.C. affiancati da due  aediles curules, di provenienza patrizia.

Il gradino successivo,   era quello della Pretura, carica  altissima della  Magistratura maggiore, che si otteneva sempre attraverso lo stesso procedimento e che durava , anche questa, un anno e poteva essere civile e militare. Se militare,  significava che le persone elette erano stati generali e capi dell’esercito e che in tempi di guerra, sarebbero tornati ad essere generali agli ordini del capo supremo che era il Console.
Il Consolato, dunque,  era il culmine della carriera in Magistratura.  Il potere dei Consoli,  ossia i Capi del Potere esecutivo, poteva apparire  quasi illimitato  e senza controllo ed era questa la ragione per cui  i Consoli furono sempre due,  affinché ognuno dei due  controllasse l’operato dell’altro. In realtà, a frenare tale potere teoricamente illimitato c’erano le Magistrature minori, ma, soprattutto, c’era la Provocatio ad populum,  un  Istituto di Diritto Pubblico, introdotto  nel 509 a,C.  che permetteva all’imputato di appellarsi al popolo riunito in Comizio.
All’inizio, a questa carica potevano accedere solo i patrizi, ma in seguito fu concesso l’accesso  anche ai plebei: uno dei due doveva essere plebeo.
Nacque così  la figura dell’ homo novus , così chamato perché per primo, nella sua famiglia, giungeva ad una carica della Magistratura senza  appartenere già alla nobilitas. 
In realtà,  costoro non erano proprio ben visti dai patrizi  ed  erano gli stessi plebei a preferire qualcuno  con una buona preparazione culturale e  con capacità di risolvere problemi che diventavano sempre più complessi. Molti,però, furono gli homines novi  a lasciare la loro impronta: Mario, Catone il Censore, ecc…
 Suggestiva era la cerimonia di elezione a Console. Il giorno del voto dell’Assemblea  Centuriata, l’istituto preposto,  il Magistrato in carica, dopo aver osservato le stelle ed aver avuto “pronostici” si presentava in assemblea.  Qui, i candidati, avvolti in bianche toghe prive di ornamenti, a dimostrazione di austerità e principio morale, aspettavano il verdetto; di tanto in tanto  sollevavano i lembi della toga per mostrare le ferite riportate in guerra e sollecitare qualche  preferenza.
La carica di Console durava  un anno, aveva decorso dalle Idi di marzo, il giorno 15 del mese in corso, fino al giorno 14 dello stesso mese   dell’anno seguente, quando  terminato il mandato,  era accolto nel Senato.
In tempo di pace, competenza  principale dei Consoli era quella di convocare il Senato, assumerne la presidenza e raccogliere le decisioni dell’assemblea che sarebbero poi  state eseguite, emanando leggi per applicarle.   Giuridicamente,  sia penalmente che civilmente, le prese di posizioni  dei Consoli erano sempre  decisionali. Di competenza dei Consoli  era la liberazione solenne di schiavi come anche  la repressione nei loro confronti, il controllo su donne e stranieri, ecc; avevano finanche la facoltà, in materia finanziaria, di  imporre nuove tasse e nuovi  tributi, ecc…
In tempo di guerra, con  la qualifica di generali, si ponevano al comando dell’esercito, che dividevano in parti uguali; se moriva uno, l’altro assumeva tutti i poteri.

Le competenze dei Consoli  erano le più ricercate, ma anche le più difficili damettere in atto,  poiché richiedevano doti di prudenza, esperienza, discrezione  sia nell’interagire con il Senato che con le Assemblee Popolari, per garantire l’equilibrio dello Stato. Equilibrio che si realizzava solo attraverso il controllo.
Controllo reciproco, in verità.
Le Assemblee erano tre: i Comizi Curiati, i Comizi Centuriati e i Comizi Tributi.
I Comizi Curiati, i più antichi, risalenti ai tempi di Romolo,  erano composti solo da patrizii ; con il tempo contò sempre di meno, fino a cedere quasi tutti i poteri all’Assemblea Centuriata.
I Comizi Centuriati, invece, erano costituiti praticamente, dal popolo in armi e cioè, da tutti i cittadini che facevano parte dell’esercito romano, (stranieri, schiavi e nullatenenti esclusi).
Conservatori quelli dell’Assemblea Curiata e progressisti quelli della Centuriata,  era destino che finissero per a combattersi tra loro, lasciando fuori dei giochi e spesso anche dei diritti, il resto della popolazione, ossia, i plebei, i quali,  finirono per riunirsi per conto proprio e discutere nei Concili della plebe, istituto da cui ebbero sviluppo  i  Comizi tributi, l’istituzione attraverso la quale la plebe combatté lunghe battaglie per la conquista di una giustizia sociale, allorché le fu consentito di eleggersi i propri magistrati e cioè i Tribuni della plebe
La  Lex Villia annalis, del 180 a.C., fissava  l’età minima per accedere ad ognuna delle cariche: 37 anni per la Questura  e un lasso di due anni tra una carica e l’altra; infine, con la Lex Cornelia de  magistratibus, Silla alzò l’età minima  a 30 anni per la Questura,40 per la Pretura e 43 per il Consolato.

Una istituzione particolare fu la Censura. La carica di Censores, durava diciotto mesi e si poteva ricoprire ogni cinque anni, condizionata dalla misura del censo  dei cittadini. Era proprio questo l’ufficio del Censore: accertarsi del patrimonio  del cittadino per poter imporre  le tasse da pagare e appurare se in grado di entrare a far parte dell’esercito, essendo necessario possedere un censo
Oltre a questa, il Censore aveva altre delicate  mansioni da svolgere e cioè, indagare sul comportamento privato e  pubblico di  qualunque cittadino  volesse candidarsi  a qualche carica pubblica. Compreso il Senato.  Più volte, infatti,  spettò ai Censores decidere chi lasciare o chi allontanare dal collegio senatoriale, oltre, naturalmente,  lo stesso Senato.

Una Magistratura eccezionale era invece la Dittatura, della durata di sei mesi.
Il Dictator era un magistrato straordinario nominato dal Senato su richiesta dei Consoli in momenti di particolare gravità o pericolo per lo Stato.
Titolare di  Imperium, ossia, il potere assoluto di governo, sia militare che civile, il Dittatore non poteva essere rieletto, però godeva, oltre che di potere assoluto, anche di particolari privilegi, come il diritto ad essere scortato da 24 littori con  fasci e scure.


venerdì 28 luglio 2017

La giovanissima AGAR che "vien data"... al vecchio ABRAMO?... Oggi, simile situazione "domestica" ha un nome: VIOLENZA.




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.......................... intanto pensavo che, qualunque fosse la ragione di quello strano dialogo fra noi, Sarai faticava davvero molto a portarlo al dunque. Poi, finalmente, proprio mentre stavo per congedarmi da lei col pretesto di inseguire il piccolo, lei disse tutto d’un fiato:
“Il Signore di Abramo mi ha fatta sterile. Abramo non ha eredi legittimi. Tu potrai dargli il figlio desiderato."
Non credevo alle mie orecchie.
"Abramo ha già il suo erede in Seir." risposi.
"La madre di Seir è una concubina, anche se di sangue caldeo.- replicò lei. – Tu puoi dargli l’erede che tanto desidera.”
“Tu permetteresti questo?”
“E’ la legge di Abramo che lo permette e... il mio amore per lui.” sorrise. Un immenso dolore, però, nascosto nella voce e nello sguardo, stese sul suo volto un velo sottile e sublime: la rinuncia per amore. Invidiai quella sua capacità di amare senza confini.
Quella sera finsi di dormire quando Abramo venne a stendersi accanto a me sulla stuoia e le sue mani cercarono la mia pelle tra le pieghe della tunica. Il suo alito mi accarezzava; il respiro mi avvolgeva. Sentivo la sua irrequietezza, l'anelito di libertà e di spazio nascosto in ogni suo gesto. Ero certa che neppure Sarai, nonostante il suo grande amore, conoscesse le recondite profondità del suo spirito come le conoscevo io.
Mi mossi, con un gesto d’insofferenza, ma lui mi trattenne e con dolcezza sciolse il nastro dei capelli che mi nascondevano volto, sguardo e tutti i dubbi.
"Tu... piccola Agar, hai assunto le sembianze e la dolcezza di Ishtar per entrare in me." disse in un bisbiglio.
Non disse altro ed insieme restammo ad ascoltare il sopraggiungere d’ignote sensazioni ed io lasciai che il desiderio m’inclinasse verso quell'uomo cui ero stata assegnata per dovere, ma a cui mi stavo concedendo per amore, poiché era amore il sentimento che stava nascendo dentro di me. L'abbandono dei sensi mi frastornò, origine di un sottile piacere che mi procurava quasi malessere fisico. I miei nudi occhi di fanciulla, chiusi al dolce disagio di quel turbamento, vedevano il suo cuore riempirsi di dolcezza. Il suo respiro ansante sul mio seno, la sua smania sulla mia pelle, il suo corpo che ardeva come fascine secche aggredite dalle fiamme, l'incanto incomparabile di quell'attimo, il fantasma di quello smarrimento... ma d'un tratto tutto andò dissolvendosi, turbato da un’improvvisa presenza: Hiram… la presenza di Hiram sotto la tenda.
Una volta ancora quell’ingombrante presenza: il Sogno. Così viva, così intensa, così reale, che pure Abramo parve avvertirla, poiché rovesciò il capo all'indietro.
Cercai di trattenerlo e di allontanare Hiram.Volevo dire addio per sempre al Sogno e trattenere la Realtà, ma non ci riuscii.Non riuscii a trattenere l’uomo a cui mi stavo concedendo, perché non era il fantasma di Hiram quello che lui sentiva.
Un altro fantasma vagava intorno a noi: Sarai, che piangeva nella parte più fonda della tenda. Avvertii di colpo il disagio di Abramo e nel contempo la contrarietà.
Succede a chi riceve in sacrificio un atto d'amore troppo grande! Solo gli Dei restano indifferenti alla grandiosità di un sacrificio. Gli uomini invece ne sono sopraffatti.
Compresi che l'essenza dell'unione fra Sarai ed Abramo stava proprio nella sublime necessità di quell'atto di rinuncia da parte di lei. Il turbamento di lui, però, il suo disagio, non bastavano ad acquietare la smania di Sarai. Nulla poteva placare il suo dolore e la sua mortificazione.
Continuai a "vedere" Sarai anche dopo che Abramo si fu esiliato dalla mia stuoia per tornare da lei. Continuai a "vederla" mentre le dormiva accanto, il capo poggiato sul guanciale, pago e rilassato fra le sue braccia.
"Sentivo" l'orrore di Sarai di fronte al sangue della "piccola egiziana" mescolato al seme del suo uomo e "sentivo" i suoi sonni agitati e interrotti dal dubbio e dallo sgomento.
Provai pietà per lei, ma anche un grande sentimento di invidia, perché lei sapeva amare la persona al di sopra dell'Amore mentre io amavo l'Amore al di sopra della persona. Fui certa di non essere io la più fortunata.
(continua)
brano tratto dal libro AGAR di Maria Pace

potete richiderlo direttamente  all'autrice con dedica personalizzata 

giovedì 22 giugno 2017

BENVENUTI, AMICI


Avete mai discusso sulle origini del millenario conflitto fra Israeliti ed Ismaeliti? Sulle ragioni storiche, culturali, ambientali.
Chi sono gli Israeliti e chi gli Ismaeliti?
Sono i discendenti di Israele-Isacco e Ismaele, i figli di Abramo, il grande Patriarca, fondatore delle tre moderne Religioni monoteiste.
AGAR, di origine egiziana, era la madre di Ismaele e SARA, di origine babilonese, era la madre di Isacco.
AGAR... la figura più controversa della Bibbia.
La tradizione ce la propone come schiava di Sara, la Sposa Primaria del patriarca Abramo, fondatore del popolo degli Ibrihim (figli di Abramo), ossia degli Ebrei, rifugiati in territorio egizio.
Sara, però, poteva avere come schiava l’egiziana Agar, una donna del popolo dominante?
Chi era, dunque, veramente Agar?
Sposa, sorella, serva, (ad eccezione di Madre, con ben altra funzione) erano termini che, all’epoca, si attribuivano alla donna, indipendentemente. Anche in Egitto, la Sposa era spesso chiamata: “Sorella del mio cuore”.
E allora: Agar, sposa o schiava?
E’ possibile provare a sciogliere l’enigma, attraverso le pagine di questo libro che narra le vicende di una donna straordinaria e unica: "A G A R"








sabato 10 giugno 2017

INTRODUZIONE




Agar nasce a Tebe, durante il regno di Thutmosis III, da una Sposa Secondaria del Sovrano. Cresce fra gli agi della corte e la reclusione del gineceo reale, mal sopportando il ruolo impostole dal destino e dalla tradizione maschile.
La sua storia personale si intreccia con le vicende di alcuni Faraoni, come Thutmosis III, suo figlio Amenopeth II, la Regina-Faraone, Hatshepsut .Testarda e ribelle, raggiunge la maggiore età, evento che coincide sempre con un matrimonio combinato. Per Agar, però, lo sposo non è un uomo comune: il suo nome è Abramo e viene dalla terra di Ur dei Caldei.
La vita che l’aspetta è assai diversa da quella condotta a Tebe. Un lungo viaggio la porterà a Mambre, dove incontrerà nuove genti e intreccerà nuovi rapporti e dove conoscerà speranze e delusioni.
Alla fine, però, scoprirà il vero ruolo della sua vita.

sabato 3 giugno 2017

ANTICO EGITTO- PSICOSTASIA… ovvero, pesatura dell’anima

ANTICO EGITTO- PSICOSTASIA… ovvero, pesatura dell’anima



Il papiro dello scriba Hunefer vissuto sotto il regno di Seti I – XIX Dinastia dei Faraoni – ben visibili: Hunefer guidato da Anubi – Anubi che pone il cuore sulla Sacra Blancia – La bestia Ammit – Thot che annota il risultato – Horo che presenta il defunto ad Osiride, alle cui spalle c’è Iside.
Tra le varie prove che il defunto doveva sostenere, c’era quella della “pesatura dell’anima” che gli avrebbe permesso di raggiungere il regno di Osiride oppure lo avrebbe condannato ad una gran brutta fine tra le fauci della bestia Ammit; questa era un ibrido: testa di coccodrillo, corpo di leone, coda di serpente, eternamente affamata ed insaziabile d pronta a fare del malcapitato un gustoso spuntino.
Il Ka (spirito) del defunto, però, non era proprio uno sprovveduto e neppure un derelitto mandato allo sbaraglio da solo; ad accompagnarlo e sostenerlo in questo percorso irto di pericoli, c’erano numerose divinità funerarie, tra cui ANUBI, lo Sciacallo Divino, il Traghettatore delle Anime. Questi lo accompagnava fin nella Sala del Tribunale di Osiride e qui poneva il cuore del defunto su uno dei piattelli della Sacra Bilancia.
A questo punto entrava in scena Maat, la dea della Verità e della Giustizia, che si toglieva dal capo la Sacra Piuma e la poneva sull’altro piattello: il cuore e la piuma dovevano avere lo stesso peso. Se il cuore fosse stato più pesante della piuma, il KA del defunto veniva dato in pasto alla bestia Ammit. Per evitarlo, bisognava rispettare il rituale, che tra l’altro, prevedeva l’utilizzo di formule magiche, come quella di “alleggerire” il cuore:
“O mio cuore di mia madre. O mio cuore per il quale esisto sulla terra. Non sorgere contro di me a testimonio. Non creare opposizione contro di me tra i Giudici. Non essere contro di me innanzi agli Dei. Non essere pesante contro di me innanzi al Grande Signore dell’Amenti… Salute a voi o dei potenti per i vostri scettri… Io mi sono unito alla terra e sono giunto nella parte più profonda del cielo… Io non sono morto e sono uno spirito glorificato per l’eternità” (dal Libro dei morti degli antichi egizi -il papiro di Torino)
Non era l’unica prova ad attendere il Ka del defunto. C’era quella della “Dichiarazione di innocenza” o “Giudizio dei 42”. Il Ka veniva invitato a dichiararsi innocente, al cospetto di 42 Spiriti, ognuno dei quali impersonava un peccato: furto, calunnia, avarizia, ecc… In realtà, bastava essere innocente di almeno 7 di quei peccati per sfuggire alle fauci della bestiale Ammit.
Superata queste ed altre prove, il KA del defunto poteva fare due cose e di solito le faceva entrambe: o tornare nella tomba, “entrare” nel corpo imbalsamato o nella statua che lo ritraeva e “vivere” in quell’ambiente, oppure restare negli Hotep Jaru, i Giardini di Osiride, il Paradiso, in qualità di Akh, Spirito Glorioso

A G A R

A G A R
Versione in lingua : inglese, francese, spagnolo - AMERICA STAR BOOKS

AGAR

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